Teatro

RIUSCITISSIMO RIGOLETTO A SALERNO

RIUSCITISSIMO RIGOLETTO A SALERNO

 “Rigoletto” (1851) è un’opera di straordinaria potenza espressiva. Forse anche perché al suo interno c’è davvero di tutto. Sotto il vasto arco narrativo che va dalla maledizione alla vendetta, scorre un ricco campionario di passioni e di atteggiamenti psicologici: dal cinismo alla tenerezza, dalla lascivia all’amore, dallo scherno al sacrificio. La traccia ricavata dalla controversa fonte letteraria (“Le roi s’amuse” di Victor Hugo, 1832) viene reinterpretata da Verdi (e dal fido librettista Piave) alla luce di una sensibilità shakespeariana, e si traduce perciò in una complessa coabitazione di elementi disparati: il colore tragico che permea l’intero lavoro tollera sovente screziature comiche, il grottesco cede il passo a oasi di lirismo trascendente. Nella torbida vicenda rappresentata non è facile distinguere tra buoni e cattivi, tra vittime e carnefici, poiché ciascun personaggio accoglie in sé le ambiguità e le contraddizioni dell’esistenza reale. A questa commistione inestricabile si sottrae soltanto Gilda, creatura angelica che invano il genitore tenta di preservare in una bolla sospesa e fragile, in un limbo senza nomi e senza storia ma anche senza futuro, in una tana-prigione che non resiste all’assedio dell’amore e alla violenza dell’oltraggio. “Rigoletto”, perciò, si fa diagramma della forza inesorabile del destino, che travolge le intenzioni e reindirizza le azioni secondo un capriccio beffardo e terribile. È superfluo ricordare la bellezza delle tante pagine giustamente famose che punteggiano la partitura verdiana, ma forse è opportuno sottolineare la compattezza dell’architettura complessiva, che si fonda su soluzioni musicali originali e genera una fortissima tensione drammatica.
Con questo capolavoro, che il maestro di Busseto ebbe sempre caro, il Teatro Verdi di Salerno ha inaugurato splendidamente la propria stagione lirica, proponendo a un pubblico affezionato e appassionato un allestimento di alta qualità. Il merito del successo, sancito dal fragore degli applausi, va ascritto anzitutto agli interpreti dei tre ruoli principali, impegnati in una vera e propria gara di generosità. Il tenore spagnolo Celso Albelo ha confermato le proprie doti di potenza e di purezza timbrica, conferendo al Duca accenti di irruenza e oltracotanza senza però rinunciare all’eleganza e alla misura. Emissione nitida e buona tornitura degli acuti hanno caratterizzato la prova di Patrizia Ciofi nei panni di Gilda. A dare voce e volto a Rigoletto è stato invece un prodigioso Leo Nucci, che proprio in coincidenza con la “prima” festeggiava il suo settantunesimo compleanno (orchestra e coro gli hanno reso omaggio con un affettuoso “Tanti auguri a te” intonato a sorpresa al momento dei saluti conclusivi). L’entusiasmo degli spettatori ha persino costretto il grande baritono a bissare “Sì vendetta, tremenda vendetta” alla fine del secondo atto! Intorno a questo terzetto d’eccezione si sono fatti apprezzare anche Carlo Striuli (Sparafucile e Monterone), Francesca Franci (Maddalena), Armando Gabba (Marullo), Francesco Pittari (Matteo Borsa), Angelo Nardinocchi (Conte di Ceprano), Natasha Verniol (Giovanna) ed Elena Memoli (Contessa di Ceprano). Ottima la direzione di Daniel Oren, amatissimo a Salerno, dalla quale traspariva non soltanto la lunga meditazione della partitura verdiana, ma anche un approfondito lavoro condotto insieme agli interpreti; nelle mani del maestro israeliano, il flusso del tempo musicale diveniva cangiante e mobilissimo in un susseguirsi mai gratuito di indugi e di slanci capace di assecondare la mutevole pulsazione delle azioni e dei sentimenti. Precisi gli interventi del coro virile, coordinato da Luigi Petrozziello.
All’efficacia della performance hanno contribuito anche le scene e i costumi di Alfredo Troisi, che ha scelto toni cupi e grigi, ravvivati da sporadici bagliori metallici; unica eccezione, il candore dell’abito di Gilda, insieme sposa e vittima sacrificale. Le proiezioni video ideate da Jean-Baptiste Warluzel hanno fornito un apporto parco e appropriato, evocando atmosfere e ambientazioni con tocchi lievi. La regia di Lorenzo Amato ha governato a dovere gesti e movimenti. Nell’insieme lo spettacolo è risultato riuscitissmo, anche grazie alla forte e quasi tangibile empatia tra il palcoscenico e la sala.